Mino Trafeli: essere moderni / diventare contemporanei 1968-1947 è la terza e conclusiva mostra di un ciclo retrospettivo che il Comune di Volterra, con il sostegno del Comitato per la pubblica fruizione del patrimonio artistico di Mino Trafeli, dedica al primo scultore volterrano che abbia compiuto il passaggio decisivo dalla figurazione alla modernità fino al postmodernismo ed alla contemporaneità dei linguaggi plastici.
La città di Volterra è inscindibile dalla storia privata e professionale di Mino Trafeli, figlio e nipote di alabastrai e lui stesso praticante di bottega fin da bambino, che seppe però superare la cultura artigianale e popolare senza mai dimenticarla, ma anzi utilizzando l’alabastro come vero e proprio materiale scultoreo.
Aveva già avvertito questo legame di sangue e radici profonde tra la città di Volterra e l’artista, in tempi non sospetti, Giovanni Fumagalli, il suo primo gallerista (fondò la storica Galleria delle Ore di Milano dove Trafeli espose quasi ininterrottamente dal 1957 al 1966), presentandolo in catalogo nel 1966: “È certo che Volterra, questa città etrusca tagliata fuori (fin da quando?) dalla cronaca, dove gli echi delle chiacchiere intellettualistiche delle grandi metropoli giungono smorzati e lontani come fossero di un altro pianeta … lo nutre come una madre… permettendogli di riflettere sui propri convincimenti, sui propri ideali, con la stessa dura costanza delle radici che, penetrando faticosamente nelle antiche mura che cingono Volterra per trovarvi nutrimento, rinnovano ogni anno la miracolosa nascita di foglie, fiori, frutti”.
Dopo le esposizioni tenute presso Palazzo dei Priori tra 2022 e 2024 dal titolo Gli anni della svolta 2018-1980 e Dall’oggetto allo spazio 1980-1968, la mostra Mino Trafeli: essere moderni / diventare contemporanei 1968-1947 ripercorre la carriera dello scultore volterrano fino alle sue origini moderne, quando nel 1947, dopo anni di “fiorentinismo rinascimentale” di formazione e di suggestioni “strapaese” (a Firenze frequenterà personaggi del calibro di Carlo Ludovico Ragghianti e Alessandro Parronchi) iniziò a ispirarsi al cubismo, a Parigi, alla scultura di Boccioni e Mino Rosso, allargando via via il suo orizzonte prima verso il neonaturalismo, poi l’informale e, alla soglia del 1968, verso l’arte oggettuale.
Palazzo dei Priori ospita così la mostra conclusiva dedicata alla sua scultura con opere che vanno dalle prime chine e opere in legno di matrice cubo/futurista di figure maschili e femminili del 1947 fino alle sculture in ferro saldato e “cucito” dedicate a figure femminili, animali, radici, madri, per arrivare al ciclo Figura e ambiente in bronzo unitamente a grandi tempere e dipinti degli anni ’60, un genere, quello pittorico, che Trafeli poi convertirà nel corso dei decenni in sculture dipinte, cartelle grafiche e concettoni spaziali, come preannuncia l’opera di datazione più tarda in mostra, una Radice del 1968 in marmo giallo e resina.
Come sintetizza in catalogo Marco Tonelli, curatore della mostra insieme a Marta Trafeli, figlia dell’artista e responsabile dell’Archivio Trafeli, quel che le sue sculture “prodotte tra 1947 e 1968 sembrano anticipare non sarà tanto il concetto e la pratica dell’impossibilità del 1974, né l’uso oggettuale o la valenza ironica e duchampiana, né la felice deriva metafisica mitologica degli anni ’80 o ancor meno le sculture di disegno dell’opera tarda, ma, paradossalmente, la carica nevrotica, erotica e viscerale dell’uso del proprio corpo a partire dalle azioni teatrali e dalle sculture agibili degli anni ’70”.
È da qui che inizia l’avventura dirompente, appassionata, a tratti anche brutale e poetica allo stesso tempo e sempre impegnata (agli anni ’50 e ’60 datano diversi suoi monumenti pubblici) di uno scultore che ha protetto la propria libertà lavorando nella solitudine degli studi volterrani ma non isolato dal mondo (basta pensare al suo impegno politico come consigliere e assessore comunale tra anni ’40 e ’50 o al ruolo organizzativo che ebbe nella storica rassegna di arte pubblica Volterra 73), senza contare che tra anni ’50 e ’60 prenderà parte a diverse Quadriennali di Roma e che nel 1964 verrà invitato alla sua prima Biennale Internazionale di Venezia.
Per l’occasione verrà edito un catalogo da Sillabe con contributi di Marco Tonelli, Nico Stringa, Lorenzo Fiorucci.